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Cosa vedere nella città vecchia? Come è meglio strutturare la visita? Meglio prenotare? Una semplice visione d’insieme vi può aiutare a pianificare meglio il viaggio

La via d’entrata alla città vecchia più usata è il Jaffa Gate, ma prima vi consiglio di salire sulle mura  e da qui potrete capire come è suddivisa la città: quattro quartieri,  il primo che si incontra quando si arriva dal  jaffa gate è quello cristiano a sinistra che è dominato dal forte richiamo esercitato dal Santo Sepolcro; questo quartiere ospita chiese, monasteri e altre istituzioni religiose appartenenti a più di 20 sette cristiane diverse.  La chiesa del S.Sepolcro che secondo le credenze sorge nel luogo autentico dell’esecuzione, sepoltura e resurrezione di Cristo. Una chiesa governata da tutte le religioni cristiane che si litigano il proprio pezzetto e che litigano su chi e come vanno fatti i lavori. Diciamo che di spirituale c’è proprio poco… vi racconto la storia della scala, una scaletta che si vede in tutte le fotografie ( come potete notare nella foto sotto) e non solo in quelle attuali ma anche nei disegni, nei quadri dei secoli scorsi… sì non scherzo questa scaletta è lì appoggiata al muro dal 1700 e magari anche da prima perché non si decidono su chi la debba spostare, rimane lì sulla facciata della chiesa perché né gli ortodossi né i cattolici o le altre confessioni religiose presenti riescono a mettersi d’accordo su chi la possa toccare e spostare.  Un’altra scala ha a che fare con  un’altra particolarità del Santo Sepolcro  la custodia della porta e della chiave, un cuneo di ferro lungo 30 cm., custodia che è affidata a due famiglie musulmane dal 1244 Da allora questo diritto si è trasmesso da una famiglia all’altra. Ma come avviene l’apertura del Santo Sepolcro? Oggi la porta si apre tutti i giorni, seguendo un cerimoniale che tiene in debito conto, oltre ai diritti di queste due famiglie musulmane, anche quelli delle tre comunità che ufficiano il Santo Sepolcro: Latini (francescani), Greci ed Armeni. Vi sono tre tipi di “apertura”, l’apertura semplice, solenne e simultanea. L’apertura semplice, spiegano dalla Custodia di Terra Santa, si ha quando il sacrestano della comunità che intende aprire la porta compie, da solo, tutte le cerimonie e si apre un solo battente della porta. L’apertura solenne avviene nello stesso modo ma con l’apertura di tutti e due i battenti: il sacrestano apre quello di sinistra e il portinaio musulmano quello di destra. L’apertura solenne simultanea si verifica quando i tre riti hanno, nello stesso giorno, l’ingresso solenne, che avviene nei sabati di quaresima. Allora tutti i movimenti per l’apertura debbono essere compiuti simultaneamente da tutti e tre i sacrestani. L’apertura avviene con questa sequenza: dall’interno della basilica il sacrestano passa la scala al portinaio musulmano attraverso un piccolo sportello. Il portinaio sblocca prima il lucchetto inferiore e poi quello superiore. A questo punto che il portinaio spalanca il battente di destra della porta. Ogni sera al momento della chiusura tutti e tre i sacrestani sono presenti e si mettono d’accordo su chi aprirà il giorno dopo: colui che avrà il diritto di apertura prende la scala e l’appoggia al centro della porta chiusa: con questo segno prende il possesso della porta per il giorno dopo. Naturalmente per la chiusura, tanto semplice quando solenne, vale lo stesso cerimoniale dell’apertura, ma a ritroso. Gli orari. Tutti i giorni in cui non ci sono feste o circostanze particolari, l’apertura è fissata alle 4.00 del mattino. Per la chiusura serale della basilica, le tre Comunità hanno stipulato un accordo che prevede la chiusura alle ore 19.00 tra ottobre e marzo, alle ore 21.00 tra aprile e settembre. Ogni sera, al momento della chiusura, tutti e tre i sacrestani sono presenti e si mettono d’accordo su chi aprirà il giorno dopo: in particolare l’apertura viene fatta ciclicamente dalle tre Comunità; colui che avrà il diritto di apertura prende la scala e l’appoggia al centro della porta chiusa. Naturalmente per la chiusura vale lo stesso cerimoniale dell’apertura, ma a ritroso. E’ una chiesa strana e atipica, che è stata costruita a pezzi in epoche diverse e quindi visitarla è fare un viaggio nella storia

Sulla destra troviamo il quartiere armeno, che occupa 1/6 della città vecchia, dove il tempo sembra essersi fermato. Gli Armeni furono i primi ad abbracciare il Cristianesimo come religione di Stato, nel 301 d.C. e hanno subito persecuzioni e massacri : 1 milione e mezzo di morti ad opera del governo turco negli anni ’20 (secondo il modello utilizzato, poi, da Hitler con gli Ebrei). Attualmente gli armeni sono in esilio, salvo una piccola parte che vive nel nuovo Stato dell’Armenia. In totale la popolazione armena conta circa 5 milioni di persone, la metà in Armenia, un milione in USA e gli altri sparsi per il mondo. Presenti a Gerusalemme dal 1187 (ottennero pieni diritti da Saladino; furono gli unici cristiani a non essere espulsi da Gerusalemme), sono oggi circa 3.000 (su 9.000 in tutto il patriarcato di Gerusalemme) di cui buona parte (200 famiglie più i monaci) abita in questo quartiere.

La lingua armena è molto vicina al sanscrito e, insieme col greco ed il persiano, è alla radice di tutti i linguaggi Indoeuropei, tuttora gli abitanti del quartiere, parlano solo armeno e inglese, difficilmente comunicano in arabo o ebraico, sebbene conoscano bene entrambe le lingue, questo come forma di protezione della propria identità dovuta a secoli di persecuzioni, che hanno spinto importanti flussi migratori di armeni in Terra Santa, da quella in seguito al genocidio armeno in Turchia del 1915 a quella del 1991 in seguito alla caduta dell’Unione Sovietica.

Il quartiere, che è costituito da una comunità molto chiusa, ha scuole, una biblioteca, un seminario e quartieri residenziali, tutto nascosto dietro alte mura. Le porte di questa città dentro la città vengono chiuse ogni sera e il Convento, cuore del quartiere armeno, è un luogo chiuso all’esterno e per entrare bisogna essere accompagnati da un residente. Il punto di interesse principale è la chiesa di San Giacomo. Risalente al XXII secolo e al tempo delle Crociate, questa chiesa commemora sia Giacomo, fratello di Gesù, e scrittore del libro omonimo che troviamo nella Bibbia,  che qui fu lapidato a morte nel 62 d.c. e Giacomo apostolo, fratello di Giovanni,  che fu decapitato qui nel 44 d.c. per ordine di Erode Agrippa I.  Accanto alla cattedrale si trova il piccolo museo Mardigian (aperto dalle 9.30 alle 16.30), che custodisce testimonianze del passato del popolo armeno, oltre a stampe, libri e qualche modesto reperto archeologico. Da notare la prima Bibbia armena stampata nel 1666 e pubblicata ad Amsterdam, e un planisfero del 1695.

 Il quartiere ebraico, che corrisponde approssimativamente all’area a sud di Bab as-Silsila e a est di Habab St, è una zona che si riconosce subito grazie alle pietre levigate, ai margini netti e precisi, è senza dubbio quello più ordinato della città vecchia. L’attrattiva principale del quartiere sono le sinagoghe, tra le più famose si segnalano la sinagoga Hurva e la Ben Zakai. Purtroppo gli orari di accesso, tra chiusure e orari di preghiera, sono piuttosto variabili e vanno controllati di volta in volta. Oltre alle Sinagoghe si possono visitare interessanti musei, quali l’Old Yishuv, che illustra il periodo di dominazione ottomano e la Torre degli Israeliti. Situato dove sorgeva la Città Alta di Gerusalemme durante il periodo di Erode (dal 37 a.C. al 70 d.C.), il quartiere ebraico era il luogo in cui abitava l’antica aristocrazia benestante della città, oltre agli alti sacerdoti che avevano costruito le proprie residenze sulla collina da cui si ammirava il Monte del Tempio. Oggi nella zona si alternano vicoli con selciato, finestre a volta, resti archeologici all’aperto, sprazzi di verde. Le aree archeologiche vennero rinvenute nel quartiere ebraico durante la ricostruzione, avvenuta dopo il 1967. Oggi il quartiere è abitato in gran parte da ebrei ortodossi (circa 600 famiglie), disposti a pagare le elevate cifre delle abitazioni pur di essere vicini al Kotel, il muro del pianto. Tutte le case di questo quartiere recano sulle porte di ingresso (ma anche su quelle delle stanze interne) la mezuzah, il piccolo astuccio rettangolare in cui viene custodita una pergamena con un brano della Torah.

Un lungo tratto è percorso dall’antico Cardo, la via principale dell’epoca romana, oggi in restauro e che conduce al suq.

Le città dell’impero romano avevano questa tradizione speciale, di decorare le strade principali della città con colonne di pietra. Queste strade venivano chiamate Cardo e anche Gerusalemme, proprio come ogni altra città romana, ne ha uno. Questa antica strada comincia dalla Porta di Damasco, a nord, e corre attraverso tutta la Città Vecchia, terminando alla Porta di Zion. Prove dell’esistenza del Cardo ci erano state mostrate in un antico mosaico che rappresenta la mappa di Gerusalemme. La mappa fu scoperta sul pavimento di un’antica chiesa bizantina nella città di Midba sulle montagne del Moab. La parte nord del Cardo, dalla porta di Damasco fino a David Street, fu costruita durante il periodo romano di Gerusalemme. La parte sud, invece, fu costruita nel 6° secolo, durante il periodo dell’impero bizantino, e si estende verso la parte occidentale del quartiere ebraico.  (da Itraveljerusalem.com)

Muro del pianto 

Il Muro del pianto è il luogo più sacro per la religione ebraica in quanto è tutto ciò che rimane dell’antico tempio di Gerusalemme, distrutto nel 70 dC.. Si trova lungo la parete occidentale della Spianata delle moschee, una zona rialzata della città che comprende la moschea Al Aqsa, la Cupola della roccia e altri luoghi di culto musulmani. La Spianata è considerata un luogo sacro anche dai cristiani. Dalla fine della Guerra dei sei giorni, nel 1967, il controllo dell’accesso alla Spianata è in mano alle autorità israeliane ma solo i musulmani ci possono pregare. Gli ebrei possono pregare invece solo nella zona lungo il Muro del pianto, raggiungibile tramite un ingresso separato. Le regole per pregare sono quelle dell’ebraismo ortodosso: uomini e donne devono restare separati e solo gli uomini possono indossare i tefillin (gli astucci neri contenenti rotoli di pergamena su cui sono iscritti versetti della Torah), gli scialli di preghiera e le kippah, e intonare dei canti di preghiera.

Informazioni pratiche: si accede alla grande piazza che comprende il Muro del Pianto passando per rigidi controlli da parte delle forze dell’ordine, con tanto di metal detector come negli aeroporti. Per accedere al luogo sacro è necessario un abbigliamento rispettoso ed indossare una kippah, il tipico copricapo disponibile all’ingresso. L’accesso al muro è diviso in due sezioni, una grande per gli uomini, ed una più piccola, riservata alle donne. E’ aperto tutti i giorni dell’anno, 24 ore al giorno.

Da poco tempo c’è anche una sezione dedicata all’adorazione mista: sezione non ortodossa dove uomini e donne possono pregare insieme.

E’ chiaro che il concetto di religione visto da qui è abbastanza confuso… chi prega cosa e lo stesso luogo è sacro per tutti. A pochi metri di distanza vedrete ebrei al muro del pianto, musulmani sulla spianata proprio sopra il muro ed è ovvio chiedersi che ruolo abbia la fede nella vita delle persone.  Il concetto di Dio e di verità?  Ma indubbiamente resta uno dei luoghi simbolo della spiritualità e l’atmosfera è molto suggestiva.

Ma passiamo al quartiere  Musulmano, quello più animato, con il suq e le strade che si intersecano come in un labirinto. La via dolorosa, la via crucis che parte da qui verso la chiesa di Sant’Anna  da un lato o verso la Chiesa del  Santo Sepolcro dall’altro,  da qui si arriva sotto il muro del pianto  e si sale sulla spianata delle moschee dove attualmente si trovano due strutture: la Cupola d’Oro cioè la Cupola della Roccia, considerato uno dei simboli di Gerusalemme, e la Moschea di Al-Aqsa. Anche se questa zona è quartiere arabo sono molti anche i visitatori ebrei e cristiani. L’ingresso per i visitatori non musulmani è consentito solo attraverso il ponte di legno situato accanto al Muro del Pianto e solo ad orari prestabiliti. E’ possibile la visita ma non la preghiera.

Detto tutto questo prima di lasciare la città vecchia c’è  una cosa assolutamente da non perdere: Il museo della Torre di Davide

Il museo della cittadella riporta in vita la storia di Gerusalemme e offre mostre temporanee e attività per visitatori di tutte le età. Il museo ospita anche due spettacoli unici al mondo nel loro genere: il Night Spectacular, che racconta la storia di Gerusalemme in una festa di suoni, musica ed immagini mozzafiato che avvolgono lo spettatore in una vera e propria esperienza multi-sensoriale. Culture, religioni, tradizioni e leggende vengono proiettate sulle antiche mura, e compaiono per magia tra le rovine archeologiche della cittadella di Gerusalemme e lo spettacolo King David che riporta alla vita la storia del re Davide, dalla giovinezza, alla sfida con il gigante Golia, all’ascesa al trono e durante il suo regno; tutto ambientato tra le mura che l’hanno visto protagonista. Davvero emozionante!

E poi si esce dalla città vecchia e si scoprono altri tesori :

Un altro museo di interesse mondiale, il Museo d’Israele, al cui interno sono esposti, tra gli altri, i famosi “Rotoli del Mar Morto” trovati a Qumran e un modello di Gerusalemme nel periodo del Secondo Tempio, che ricostruisce la topografia e il carattere architettonico della città come era prima della sua distruzione dai Romani nel 70 EV

il mercato di Mahane Yehuda che quando si abbassano le saracinesche dei banchi e delle botteghe, diventa un museo di  coloratissime opere di street art. È il momento per uscire a bere qualcosa o  provare il delizioso street food dei locali che aprono sotto la galleria coperta e nelle strade tutte intorno fino al primo tratto di Jaffa Road, soprattutto di giovedì sera prima dei festeggiamenti dello Shabbat.

Anche di giorno il mercato è affascinante: Riempite gli occhi delle sfumature del patrimonio stagionale gastronomico del paese! Pesche, albicocche, prugne, mele, arance, pompelmi, fragole, ciliegie, angurie e melagrane, spesso spremuti al momento in rinfrescanti bibite da passeggio. Impossibile, poi, non cedere alla tentazione degli immancabili datteri!

L’aria è un’esplosione di aromi speziati che si mescolano con il profumo del pane tradizionale a treccia, lo Challah, da spezzettare e mangiare  camminando.

Due sono le vie principali del mercato che si intersecano in un labirinto di stradine i cui nomi fanno riferimento ai prodotti in vendita.

Paradiso dello street food locale qui potrete gustare gli immancabili falafel, polpettine speziate di ceci, accompagnate dall’immancabile hummus, una purea sempre di ceci cotti, con pasta di sesamo e lo shawarma, carne di pecora o di tacchino cotta lentamente su un grande spiedo e servita con pita, verdure e salse.  Il food market di Mahane Yehuda è particolarmente animato di giovedì e venerdì quando la gente si prepara per lo Shabbat e le famiglie si radunano per consumare insieme la cena.

Anche gli hotel sono location esclusive della nightlife di Gerusalemme. Raffinate le atmosfere al Villa Brown e all’American Colony, mentre i rooftop del Mamilla e del David Citadel Hotel sono la scelta ideale per chi cerca una vista panoramica mozzafiato sorseggiando un drink.

L’American Colony  ha una storia unica che lo rende imperdibile anche solo per fermarsi a bere un tè nel pomeriggio o un aperitivo a bordo piscina. L’American Colony a Gerusalemme non è solo un hotel, è un luogo di quiete, una specie di terra neutrale a 30 metri dal confine. L’hotel  è un punto di riferimento internazionale, ed è così da oltre un secolo. Fondato nel 1881 da Horatio e Anna Spafford, due americani scampati a svariate disavventure e in cerca di nuova vita, divenne la residenza di una comunità cristiana che si occupava di beneficenza e filantropia. Erano falegnami, artigiani, ricercatori, archeologi, insegnanti, infermieri, medici. Fino al 1980 è rimasto a conduzione familiare e poi è passato ad un’azienda svizzera.  Da quando fu trasformato in albergo nel 1902, l’American Colony svolge un ruolo super partes. È elegante con ceramiche armene, pavimenti in pietra serena, tappeti orientali, ed è un posto rassicurante.

L‘American Colony è un’istituzione. A Gerusalemme lo conoscono tutti. Graham Greene, John Le Carré, Marc Chagall, Peter O’Toole, Tony Blair vi hanno soggiornato.  Nel giardino del ristorante oppure al bar si incontrano giornalisti, collaboratori delle Nazioni unite e tutti coloro che si possono permettere caffè turco, birra palestinese o un piatto di formaggio francese. E chi osserva con attenzione, noterà che palestinesi e israeliani siedono allo stesso tavolo. Un’immagine rara in una città, in cui gli abitanti si limitano a vivere nel proprio territorio senza sconfinare negli altri.

 Il personale è quasi tutto palestinese, gli ospiti arrivano da  tutto il mondo. I  grandi nomi della politica, della finanza, gli scrittori e i letterati passano tutti da qui. Durante le Intifada e le altre guerre i giornalisti inviati da ogni dove avevano un unico indirizzo: l’American Colony essendo un albergo “non israeliano” geograficamente parlando. Un hotel che ha un ruolo diplomatico, riconosciuto e apprezzato. E’ un luogo che testimonia la storia , non quella ufficiale ma quella che nasce bevendo un cocktail al bar. Se aspettate la fine del mondo» ha scritto lo storico israeliano Tom Segev «non c’è posto più piacevole o adeguato del patio dell’American Colony Hotel».

Per concludere la visita della città  andate al giardino dei Getsemani e salite sul Monte degli Ulivi  per ammirare la vista di Gerusalemme dall’alto.

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